Quando la natura non fa il suo regolare corso, per patologie di uno dei due partner o per scarsa fertilità, ci si può rivolgere alle tecniche della Procreazione Medicalmente Assistita (o PMA), un insieme di trattamenti clinici, di diversa tipologia e impatto sull’organismo, con l’obiettivo comune di trattare i gameti femminili e maschili e di stimolare la loro unione.
In linea generale, i medici consigliano alle coppie di rivolgersi a questo tipo di tecniche dopo un certo periodo di tentativi andati a vuoto. Indicativamente, per le donne sotto i 35 anni dopo un anno e mezzo o due di rapporti non protetti, sopra i 35 dopo un anno, verso i 40 anche solo dopo 6 mesi.
Le tecniche
A seconda che richiedano cure ormonali o inseminazioni più o meno complesse, con l’utilizzo o meno dell’anestesia, si parla di tecniche di primo o di secondo e terzo livello.
Il primo tipo è il più immediato e si adotta quando non si ha una conclamata infertilità dei partner, ma casi di lieve infertilità maschile oppure disturbi che rendono difficili e sporadici i rapporti sessuali (impotenza per lui, vaginismo per lei) per stimolare l’incontro tra l’ovulo e gli spermatozoi. Si tratta della cosiddetta inseminazione intrauterina semplice, in cui si inietta nella cavità uterina il seme del partner per favorirne l’unione con l’ovulo.
La percentuale di successo a ogni tentativo è del 10-15% e si ripete per un massimo di 6 volte.
I rischi sono minimi e il tutto avviene in ambulatorio senza anestesia o soggiorni prolungati in ospedale. Si accompagna sempre a dei controlli, dato che può essere legato alla ciclo naturale di fertilità femminile o prevedere una stimolazione mediante farmaci dell’ovulazione. In quest’ultimo caso è bene verificare che non ci sia una moltiplicazione di follicoli, con il rischio di gravidanze plurigemellari, che sono molto più pericolose per madre e feti.
Se invece l’infertilità è grave, oppure ci sono patologie e danni all’apparato riproduttivo femminile o, ancora, la donna ha superato i 40 anni, si può ricorrere alle tecniche di livello più elevato, che prevedono la fecondazione dell’ovulo in provetta.
Il percorso è più lungo e prevede un maggior ricorso alla stimolazione ormonale. Prima, infatti, viene inibita l’ovulazione spontanea tramite la somministrazione di un ormone di sintesi, quindi, quando arriva il ciclo mestruale, si stimolano i follicoli, in modo da averne un numero sufficiente e di dimensioni adeguate a metà del ciclo. L’ovulazione viene poi favorita attraverso un altro ormone e, con un piccolo intervento in anestesia generale, si prelevano gli ovociti. Questi vengono quindi fatti incontrare con il seme del partner in vitro, o tramite contatto (tecnica tradizionale, o Fivet) o con una microiniezione (tecnica Icsi).
Se l’embrione si forma, dopo 2-3 giorni avviene l’impianto nell’utero della donna e poi si aspetta per vedere se ha attecchito. La percentuale di successo è del 30% circa e si può ripete anche 4-5 volte.
Naturalmente, qualsiasi tecnica si adotti, è necessario effettuare una diagnosi preventiva, in grado di escludere patologie trasmissibili al feto e verificare i motivi per cui la fecondazione non riesca naturalmente, anche se per circa 1 coppia su 7 non si è in grado di dare una riposta definitiva alla questione.
Altri casi
Se l’uomo risulta azoospermico, vale a dire se il suo seme contiene un numero molto basso di spermatozoi, si procede con un prelievo testicolare, per poter ricorrere alle tecniche cui si faceva cenno sopra.
Se invece la donna è affetta da un tumore o altre patologie il cui trattamento ne mette a rischio la fertilità, è ormai collaudata la tecnica della crioconservazione degli ovuli, che permette di utilizzarli in un secondo momento per l’inseminazione artificiale.
Cosa dice la legge
La legge che norma la procreazione assistita è la numero 40, promulgata nel 2004. Essa prevede la possibilità di ricorrere a queste tecniche, ma impediva sia la fecondazione eterologa, vale a dire con gameti che non appartengono entrambi alla coppia, sia la diagnosi preimpianto, per verificare eventuali patologie del feto, e imponeva che si potessero fecondare solo 3 ovociti, tutti e 3 da impiantare nel caso si sviluppassero tutti in embrioni.
Una sentenza della Corte Costituzionale del 2009 ha eliminato questi paletti, salvo il divieto di fecondazione eterologa, che è invece stato rimosso con la storica sentenza dell’aprile del 2014. La motivazione addotta dai giudici è stata l’equità di trattamento per le coppie. Il divieto, infatti andava a scapito solo di quelle che non avevano le possibilità economiche di recarsi all’estero per effettuarla.
Rimangono però disparità molto grandi tra le regioni italiane, che sono attrezzate diversamente per quanto riguarda la PMA e hanno costi molto variabili, sia per i pazienti sia per il sistema sanitario.
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