Per molte persone andare a convivere è un modo per impegnarsi “con riserva”: scoraggiati anche dal numero in continuo aumento dei divorzi, sono molti a considerare il fatidico “sì” come la tomba dell’amore.
Se entrambi i partner sono d’accordo nella scelta, la situazione non desta particolari problemi. Le difficoltà iniziano quando, magari dopo un periodo di convivenza, uno dei due preme per ufficializzare con il rito del matrimonio il rapporto, mentre l’altro non si sente pronto per questo passo.
Ma convivere o sposarsi è davvero così diverso? A parte l’organizzazione della cerimonia in sé e l’adempimento di tutti gli oneri burocratici, cosa cambia nel rapporto? In realtà, se si va oltre un pregiudizio psicologico, ci si rende facilmente conto che la scelta di andare a convivere o di sposarsi può dipendere da ragioni economiche, religiose o sociali ma non certo sentimentali. Una fede al dito o un sì pronunciato in pubblico non cambiano la sostanza di un rapporto o la veridicità di un sentimento.
Sia nel matrimonio che nella convivenza, di fatto, c’è alla base un progetto comune, una promessa implicita che si rinnova di giorno in giorno. Vivere insieme comporta inevitabilmente degli alti e bassi, a prescindere da quanto sia forte un sentimento e dal fatto che esista o meno un contratto a sigillare l’unione.
La convivenza, quindi, non è un surrogato meno impegnativo del matrimonio: volontà, soddisfazioni e difficoltà sono le stesse per le coppie sposate e per quelle che convivono.
Neppure la paura del divorzio è invero un’obiezione plausibile: è innegabile che sempre più coppie sposate si separino, ma questo dato è utile solo ai fini statistici e non serve a tutelarsi da possibili sofferenze. Se una convivenza finisce male, non vi basterà sapere che non siete arrivate all’altare con l’abito bianco per consolarvi.
La dedizione che si mette in un rapporto è la stessa anche senza il “sì” ufficiale e la delusione per il fallimento di un progetto comune non si evita andando a convivere.
Dal punto di vista della coppia, quindi, si nota che convivere o essere sposati non sono situazioni dissimili ma si equivalgono. La convivenza resta l’opzione più valida nel caso in cui non si aderisca ad alcun credo religioso, non si intenda investire soldi nell’organizzazione del ricevimento o non si senta la necessità di riconoscere civilmente il proprio rapporto.
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