Le coppie di fatto nascono dalla spontanea volontà di due persone di legarsi sia moralmente che materialmente in un vincolo, che di solito prevede la convivenza, la gestione comune degli aspetti economici, l’acquisto eventuale di una casa, la presenza di figli. La decisione di optare per una
unione di fatto, non sancita dal matrimonio, può essere legata sia a una precisa scelta ideologica, sia a impedimenti (per esempio, se uno dei due, o entrambi, sono in fase di separazione o divorzio), sia all’assoluta impossibilità di contrarre le nozze nel caso delle coppie omosessuali, cui il nostro Paese non riconosce questa possibilità.
Che si tratti di coppie etero o omosessuali, la
legislazione italiana non ha ancora definito un
ordinamento chiaro sulle unioni di fatto, nonostante diversi tentativi e tante proposte di legge.
Esistono tuttavia delle
sentenze che hanno affrontato alcuni casi particolari, a fronte della necessità di una coppia di risolvere un conflitto o di chiarire una situazione, e dei
pronunciamenti della Corte di Cassazione, che in genere sono tenuti come punto di riferimento ogni volta che si presenti in giudizio una questione analoga. Sentenze e pronunciamenti hanno per ora, tuttavia, definito
solo gli aspetti economici di tali relazioni, per esempio cosa succede alla casa comune quando i due conviventi si lasciano, riconoscendo alcuni diritti/doveri. Gli aspetti affettivi e morali non hanno invece alcun riferimento chiaro.
Cosa dice l’Unione EuropeaPer quanto riguarda l’Unione Europea, anch’essa non ha definito una linea di azione univoca sul tema, lasciando
facoltà ai singoli Paesi di definire il proprio ordinamento. Esiste però un
orientamento politico molto chiaro a favore del riconoscimento delle unioni di fatto, per persone dello stesso o di diverso sesso. Dato, infatti, il principio dell’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini, a prescindere da qualsiasi circostanza specifica incluso l’orientamento sessuale, in una Raccomandazione emanata nel 2000 (e ribadita 3 anni dopo) si chiede agli Stati aderenti di garantire anche alle coppie non sposate e a quelle dello stesso sesso uguali diritti rispetto alle coppie che hanno contratto matrimonio, ponendo l’accento sia sugli aspetti fiscali e di regime patrimoniale, sia su quello dei diritti sociali.
E in Italia?In Italia ci sono stati
diversi tentativi di regolamentare le unioni di fatto, ma al momento, sia a causa dell’instabilità politica del nostro Paese, in cui molte proposte di legge si sono arenate ogni volta che è cambiato il governo, sia per le resistenze della Chiesa Cattolica e di parte della società civile, soprattutto quando si arriva a parlare di diritti delle coppie omosessuali, non esiste una normativa che le regoli.
Le prime proposte risalgono alla fine degli anni Novanta. Sotto il Governo Prodi si discusse di introdurre una legislazione simile ai
Pacs (Patti civili di solidarietà) approvati in Francia. Scioltasi la maggioranza, il disegno di legge proposto da Franco Grillini venne abbandonato, ma alcuni anni dopo si incominciò a parlare di
Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) e nel 2007 venne approvato un altro disegno di legge sui Cus (Contratti di unione solidale), un’altra denominazione per intendere la possibilità delle coppie, sia etero che gay, di accedere a un registro pubblico, acquisendo così uno status riconosciuto. Di nuovo però la caduta del Governo portò a un nulla di fatto. L’anno dopo fu presentata una
nuova proposta (DiDoRe, Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi), questa volta dall’allora Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta.
Più di recente, a giugno del 2014, la
Commissione Giustizia ha elaborato un nuovo testo del ddl 1316/2014,
Disposizioni in materia di unioni civili, anche alla luce di alcune sentenze della Corte Costituzionale. Pure se l’articolo 1 ribadisce che “l’istituto del matrimonio, inteso come unione stabile tra un uomo e una donna è fondamento della famiglia, società naturale con diritti originari e preesistenti allo Stato”, stabilisce alcuni diritti per le coppie di fatto. Se esse sono formate stabilmente da almeno 3 anni, o da 1 se in presenza di figli, i due partner hanno facoltà di visita nei luoghi di cura, di mantenere la casa comune di abitazione in caso di morte di uno dei due, di lasciare un legato (sempre nei limiti imposti dalla legge, che prevede una parte indisponibile, da darsi cioè ai familiari stretti) e di fruire dei permessi lavorativi retribuiti. Hanno anche l’obbligo di conferire gli alimenti al partner più debole se la relazione finisce, similmente a come accade in caso di separazione/divorzio. Un piccolo passo avanti, dunque, che però non ha ancora trovato attuazione, mentre resta il fatto che le coppie di fatto in Italia sono una realtà rilevante: dati Istat del 2011 (i più recenti a disposizione fino al 2014) parlano di
un milione di coppie di fatto (di cui almeno il 60% formato da chi ha scelto la convivenza more uxorio), numero destinato a crescere nella realtà se si considera che ormai un figlio su quattro nasce al di fuori del matrimonio.
Altre iniziativeNonostante il vuoto legislativo, ci sono due iniziative di rilievo da segnalare.
La prima è di carattere non istituzionale e riguarda i
contratti di convivenza. L’ordine dei notai, da dicembre del 2013, ha messo a disposizione di tutte le coppie la possibilità di sottoscrivere degli
accordi per regolare gli aspetti economici e patrimoniali della convivenza. Si possono stipulare in qualsiasi momento della relazione e permettono di definire tra i due partner questioni come la proprietà dei beni comuni, inclusa la casa, la suddivisione del patrimonio e il mantenimento dei figli dopo la fine del rapporto. Inoltre si può nominare il partner come proprio legale rappresentante in caso di malattia (se non si è più in grado di intendere e volere) e di morte (ad esempio per decidere in merito alla donazione degli organi). Va da sé che si tratta di un servizio a pagamento, ma rappresenta un modo per stabilire alcuni punti fermi nel proprio rapporto e soprattutto di definire degli obblighi che hanno valore giuridico.
La seconda iniziativa ha invece maggior peso politico e istituzionale: un certo numero di comuni in tutta Italia hanno deciso di istituire dei
registri per le coppie conviventi (di solito sia etero che omosessuali). Di recente qualcuno si è spinto ancora più in là, permettendo la registrazione dei matrimoni gay celebrati all’estero. Il primo comune a istituire il registro per le unioni civili è stato quello di Empoli, in provincia di Firenze, nel 1993, seguito negli anni da oltre 150 tra capoluoghi di regione (come Milano, Perugia, Trento, Palermo, Napoli, L’Aquila, Genova, Bari) e provincia (per Pisa, Ferrara, Parma, La Spezia, Alessandria, Monza) oltre a diversi comuni minori.
Bologna, Torino, Bari e Padova hanno introdotto anche per le coppie di fatto un documento anagrafico,
l’attestazione di famiglia anagrafica legata da vincoli affettivi, che ha valore per ricevere i benefici e godere dei diritti previsti dal Comune su diverse materie, come casa e sanità. I registri sono un segno importante di come le istituzioni, almeno quelle locali, siano consapevoli del problema e cerchino delle soluzioni, ma il loro valore rimane confinato territorialmente e riguarda
solo gli aspetti amministrativi.
I non dirittiPer riassumere, quindi, le coppie che sono tali di fatto ma che non legate dal matrimonio non hanno alcuni diritti che per i coniugi sono stabiliti per legge:
- In caso di malattia, il partner non può dare il proprio assenso per le terapie che prevedono un’autorizzazione (se il partner non è in grado di darla), mentre possono darlo solo i familiari. Non può nemmeno prendere visione della cartella clinica o, in caso di restrizioni, accedere alla stanza in cui si trova.
- In caso di morte non può disporre della salma o decidere sulla donazione degli organi e non ha alcun diritto in merito al lascito ereditario né alla pensione di reversibilità.
- In caso di separazione non ha diritto all’assegno di mantenimento (può però subentrare nel contratto di locazione della casa comune, anche in caso di decesso del partner).
Con l’equiparazione tra i
figli legittimi (nati all’interno del matrimonio) e quelli naturali (nati al di fuori) grazie a una storica legge del 2012, in caso di separazione tra i genitori non sposati diritti e doveri sono decisi dal Tribunale ordinario come per le coppie sposate.
In conclusione, fino a che non ci sarà una normativa organica sulle unioni di fatto, è bene che le coppie valutino la sottoscrizione nel registro del comune di residenza (se disponibile) e un eventuale contratto di convivenza, per poter avere un minimo garantito di diritti.
Riceverai una mail con le istruzioni per la pubblicazione del tuo commento.
I commenti sono moderati.