Chi di voi non ha ricevuto uno schiaffo da bambino? Eppure quando si cresce e si diventa genitori, la prospettiva cambia e ci si chiede se sia giusto punire fisicamente i propri bambini, ovviamente non in maniera dolorosa ma simbolica.
Lo schiaffo può avere valore educativo? Non esiste una risposta univoca a questa domanda. Partiamo con l’osservare che in Italia, secondo i dati di Save The Children, un quarto dei genitori ammette di usare lo schiaffo come punizione abitudinaria mentre la percentuale sale al 53% per casi limite e occasioni sporadiche. È invece il 19% ad affermare di non aver mai dato uno schiaffo ai propri figli e di essere del tutto contrario a questo metodo.
In primo luogo bisogna distinguere diverse casistiche in base all’età del figlio. Di fronte ad un bambino capriccioso spesso è difficile farsi capire con le parole e uno schiaffo può essere un modo per comunicare la propria autorità.
Ci sono però delle regole e dei limiti: la prima, in realtà talmente lapalissiana da dover essere scontata, è che lo schiaffo non va dato con l’intenzione di far male al bambino e quindi l’intensità deve essere ridimensionata alla sua corporatura. Non tutti gli schiaffi inoltre sono uguali: in particolare è stato evidenziato che lo schiaffo in pieno volto, che costringe il bambino a guardare in faccia l’adulto che lo punisce, è particolarmente umiliante. Oltretutto uno schiaffo sulla faccia, anche se di debole intensità, può essere involontariamente pericoloso se ad esempio si colpisce l’occhio quindi, se proprio dovete, molto meglio la classica sculacciata sul sedere.
Mai dare uno schiaffo come sfogo nervoso: questo atteggiamento non è mai educativo ed è un fallimento del proprio compito genitoriale. Dare uno schiaffo in preda alla rabbia significa che abbiamo perso il controllo e non siamo in grado di gestire la situazione con la giusta calma, quindi presuppone un errore di fondo da parte nostra ed è impensabile che in questa situazione il bambino possa riconoscere la nostra autorità. Quello che dobbiamo pretendere dai bambini non è timore ma rispetto.
La situazione cambia con i figli adolescenti: man mano che i bambini crescono, aumenta la loro capacità cognitiva e quindi il dialogo, anche con toni duri se necessario, diventa lo strumento educativo più efficace. Bisogna far capire al ragazzo che non vogliamo porci su un piano di imposizione e obbedienza ma che vogliamo confrontarci con lui e aiutarlo a capire dove ha sbagliato. La reazione all’uso delle mani non può che essere di ulteriore rivalsa in un età in cui si sviluppa per natura un innato spirito di ribellione alle imposizioni.
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