Le leggi ci sono, anche se non sempre vengono applicate. In caso di maternità, infatti, lo Stato tutela la donna, la sua occupazione e il nascituro, garantendo la continuità dello stipendio, il giusto periodo di riposo e tutelando i casi in cui la salute della futura mamma può subire dei danni. Le norme quindi sono a favore delle donne e dal 2007, valgono per tutte le tipologie di contratto, anche quelli atipici.
I capisaldi
L’articolo 37 della Costituzione italiana tutela le donne e il loro ruolo materno sostenendo come principio generale che: “Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Negli anni si sono accumulate norme, disposizioni e regolamenti, tra cui ha cercato di fare chiarezza e dare omogeneità il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità", promulgato nel 2000 in una data significativa come quella dell’8 marzo, la festa della donna. L’anno successivo è stato emanato il decreto legislativo n. 151, che include il testo unico e lo coordina con gli altri ordinamenti vigenti in materia, nell’ottica di razionalizzare e semplificare le norme sul tema.
I fondamenti sono: obbligo o almeno possibilità di avere un periodo di astensione dal lavoro in coincidenza con il parto; ore e giorni di assenza retribuiti successivamente alla nascita; riconoscimento di un’indennità economica; divieto o forti limitazioni al licenziamento; particolare considerazione per la salute della donna. In quest’ultimo caso, in particolare, le donne in gravidanza e fino al settimo mese di vita del bambino che svolgano lavori “pericolosi, faticosi e insalubri” devono essere destinate ad altre mansioni a parità di stipendio o possono, con apposita dichiarazione medica, lasciare il lavoro prima del previsto.
Per le dipendenti
La maternità è tutelata dal codice civile che prevede, all’articolo 2110, precise garanzie. Due le tutele principali. Innanzitutto è previsto l’obbligo di astenersi dal lavoro nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre successivi e il diritto a ricevere un’indennità economica durante il periodo in cui non si lavora. Il congedo è in realtà flessibile (se non ci sono controindicazioni di carattere medico), per cui può essere posticipato fino a un mese prima della nascita del bambino e a quattro mesi dopo.
Per quanto riguarda l’indennità economica, essa è a carico dell’Inps e ammonta all’80% (100% se dipendente pubblica) della retribuzione. Viene corrisposta durante tutto il periodo di congedo obbligatorio e vale ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio (vale a dire che questo periodo ha effetti sulla maturazione dei contributi per la pensione, delle ferie, per gli scatti di anzianità e così via). A richiesta, il periodo può essere aumentato fino a sei mesi, i primi due con uno stipendio pari all’80% della retribuzione normale e gli altri quattro al 30%.
La donna, inoltre, non può essere licenziata dall’inizio della gestazione fino a che il bambino non compie un anno (o a un anno dall’ingresso nella famiglia se adottato), salvo circostanze specifiche (colpa grave della lavoratrice, cessazione delle attività aziendali, conclusione del contratto se a tempo determinato). Inoltre, in caso di dimissioni da parte della donna stessa, si presume che si tratti in realtà di una forzatura da parte del datore di lavoro causata proprio dalla gravidanza o dalla maternità, per cui vanno convalidate dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro anche attraverso un incontro privato con la lavoratrice. Riceverà inoltre l’indennità sostitutiva del preavviso se le dimissioni saranno confermate.
Tornata al lavoro dopo il periodo di astensione obbligatoria, la madre ha diritto a due ore di riposo pagate al giorno, insieme o frazionate, se il suo orario è superiore alle sei ore quotidiane, a una se inferiore, fino al primo anno di vita del bambino. Il doppio in caso di parto plurimo, la metà se l’azienda di cui è dipendente ha una struttura interna come il nido aziendale.
Per chi ha un contratto atipico
Dal 2007 l’astensione obbligatoria e le relative tutele sono estese anche alle lavoratici con contratti diversi da quello subordinato (a progetto, libere professionisti iscritte alla gestione separata, lavoratrici occasionali, vale a dire con meno di 30 giorni di lavoro all’anno e reddito inferiore a 5 mila euro).
L’astensione dal lavoro è fissata in due mesi prima la data presunta del parto e tre mesi dopo. Hanno inoltre diritto al congedo parentale (facoltativo e successivo al parto) con un riconoscimento economico pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilità dai contratti della categoria cui appartengono, solo se iscritte alla gestione separata dell’Inps (non a casse professionali diverse) e se hanno versato un minimo di tre mesi di contributi nei dodici mesi precedenti la maternità.
In più il contratto delle lavoratrici a progetto è prorogato di 180 giorni.
Per le libere professioniste, iscritte a un ordine professionale, valgono invece le seguenti regole: 5 mesi di astensione dal lavoro, due prima del parto e tre dopo, retribuzione all’80% dei 5/12 delle retribuzione annuale dichiarata due anni prima della maternità.
E i papà?
Nel caso in cui la madre muoia o sia gravemente inferma, o abbia abbandonato il bambino o, ancora, il padre ne abbia l’affido esclusivo, tutte le tutela spettanti alla madre (indennità, congedo, divieto di licenziamento, giorni e ore di assenza per motivi familiari) passano a lui.
Se, invece, è stata la madre a usufruirne, il papà ha comunque diritti pari per quanto riguarda il congedo: la cosiddetta Riforma Fornero del 2012 permette, in via sperimentale per il periodo 2013-2015, che i padri possano usufruire di un congedo di tre giorni entro i primi 5 mesi di vita del figlio. Il secondo e il terzo giorno sono alternativi a quelli materni.
Per quanto riguarda invece il congedo parentale, facoltativo, anche il padre ha diritto a 6 mesi di assenza dal lavoro, continuativi o meno, fino a che il bambino non compirà 8 anni (vale per ogni singolo figlio), per un limite massimo di 10 mesi per entrambi i genitori. Il congedo è riconosciuto però solo ai lavoratori dipendenti e dà diritto a ricevere il 30% della retribuzione solita. Se il padre è un lavoratore autonomo non ha alcun diritto al congedo.
Anche il padre può accedere alle ore giornaliere di riposo retribuite, sia se è l’unico genitore ad accudire il bambino, sia in alternativa alla madre se lei è lavoratrice autonoma o non se ne avvale (ma non è possibile per entrambi i genitori usufruire contemporaneamente del congedo).
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