L’ultrascreen è un metodo non invasivo per rilevare la presenza di irregolarità cromosomiche nel feto, in particolare della Sindrome di Down (trisomia 21).
Nonostante sia un esame piuttosto affidabile e sicuro per la salute della madre e del feto, questa pratica non è ancora molto conosciuta, tanto che spesso si preferisce affidarsi a esami invasivi e più pericolosi come la villocentesi. L’ultrascreen è l’esame combinato del bi-test (esame ematochimico) e della translucenza nucale (ecografia).
L’integrazione di questi due metodi di analisi permette una diagnosi più sicura e una diminuzione della percentuale dei falsi positivi (cioè di risultati sbagliati, che rivelano la presenza di disfunzioni cromosomiche anche quando il feto è sano).
Il bi-test consiste nel monitoraggio dell’ormone Free betaHGC e del PAPP-A (plasma proteina associata alla gravidanza) contenuti nel campione di sangue prelevato dalla madre. La presenza di eventuali disfunzioni cromosomiche del feto dipende dalla quantità di Free betaHGC e di PAPP-A durante la gravidanza: in caso di malattie cromosomiche il Free betaHGC aumenta, mentre il PAPP-A diminuisce.
La traslucenza nucale è invece il monitoraggio del liquido presente sulla nuca del feto, visibile tramite ecografia. Se la dimensione è maggiore ai 2.5/2.8 mm di spessore, il rischio di malattia cromosomica aumenta.
I risultati dei due test vengono poi valutati parallelamente per verificare la presenza di disfunzione dei cromosomi. È un’analisi abbastanza sicura, che consente di individuare il 90% di casi di anomalie.
L’ultrascreen si effettua tra la 9a e la 14a settimana: l’analisi del sangue si può effettuare tra la 9a e la 13a settimana, mentre l’ecografia fra l’11a e la 14a.
Questo esame si effettua soprattutto quando si sospetta un rischio di malattie cromosomiche, dato da fattori genetici, o quando la donna supera i 35 anni, perché risulta avere una possibilità più alta di incorrere in questo tipo di problemi.
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