In Italia si pratica troppo, nonostante non sia affatto necessaria nella maggior parte dei casi e abbia a volte conseguenze poco piacevoli per la donna che la subisce, soprattutto nei giorni successivi al parto. Si tratta di un taglio, praticato chirurgicamente, tra vagina e ano alla fine della fase espulsiva del neonato. L’obiettivo è quello di facilitare l’apertura e la distensione dell’area, in modo da rendere più agevole il passaggio del bambino e quindi la nascita.
Pochi i casi in cui è obbligatoria
Anche se negli ospedali del nostro Paese l’episiotomia viene effettuata in oltre la metà dei parti, in realtà essa è considerata necessaria solo in alcune situazioni particolari: quando bisogna velocizzare la nascita del bambino perché si è di fronte a un caso di sofferenza fetale; quando si opera con forcipe o ventosa, in modo da ampliare il canale di espulsione; se si sono già verificate delle lacerazioni prima della fuoriuscita della testa o ci sono difficoltà in quella delle spalle, per esempio se le dimensioni del bambino sono grandi e la vagina piccola.
Quando si presentano queste condizioni è comunque ancora possibile cercare di ridurre il più possibile il ricorso all’intervento di taglio, soprattutto se si riesce a rispettare la naturale fisiologia del parto, i suoi tempi e la sua dinamica.
Il fatto che in Italia si ricorra in modo routinario a questa pratica nasce soprattutto da una tradizione chirurgica che tende a perpetuarsi negli anni, anche se si è dimostrato che essa può essere abbandonata senza eccessivi rischi (come testimoniano le percentuali, decisamente inferiori, di uso dell’episiotomia negli altri Paesi, in media inferiori al 20%). Da una parte c’è infatti l’idea che sia più facile e veloce per il corpo riparare una lacerazione netta, il piccolo taglio, piuttosto che una spontanea, che tende a essere irregolare. Dall’altra si è convinti che si riduca il tempo di pressione del neonato sull’area perineale, riducendo di conseguenza il rischio di lacerazione dei tessuti e quindi effetti collaterali come l’incontinenza post parto.
In realtà non esistono evidenze scientifiche di queste due credenze, anzi, è proprio il taglio chirurgico tra vagina e ano a produrre le conseguenze negative che si vorrebbero evitare: innanzitutto perché la lacerazione non sempre si verifica spontaneamente e poi perché, una volta effettuato il taglio, aumenta il rischio che si estenda durante la fase espulsiva, aumentando i problemi per la donna nei giorni successivi.
I rischi e le conseguenze
Ma quali sono gli effetti del taglio? Essi variano a seconda di come viene praticato. Ne esistono infatti due tipi: il taglio mediano, che va dalla vagina all’ano, di circa 3 cm, meno doloroso perché incide solo cute e mucosa, ma con un aumentato rischio di produrre incontinenza, e il taglio paramediano, che segue una direzione obliqua dalla vagina alla natica (di solito la destra), più lungo (4-5cm), più frequente e più doloroso sul momento e nei giorni a seguire (soprattutto nei rapporti sessuali) perché coinvolge i muscoli. Effettuato in anestesia locale, ha minore impatto sullo sfintere, ma il dolore che provoca tende a durare per un periodo più lungo rispetto al primo tipo.
In generale, quindi, le maggiori conseguenze sono a carico dell’apparato urinario e fecale, con un rischio più elevato di soffrire di incontinenza, sanguinamento più copioso durante il parto, dolore dei punti di sutura che rende difficile stare sedute e a volte anche camminare, fastidio più o meno accentuato nell’evacuazione e nella penetrazione e in generale un decorso post-partum che dura di più ed è più difficoltoso. Non è trascurabile anche il rischio di infezioni, che costringono ad assumere medicinali e a nuove medicazioni. Gli effetti passano nella maggior parte dei casi dopo qualche tempo e la neomamma può riprendere la sua vita normale, ma certo i primi giorni o le prime settimane dopo il parto, già di grande cambiamento, fatica e stress, risentono anche di questi effetti spiacevoli e per lo più evitabili.
Come fare per evitarla
Il metodo migliore è assecondare la natura e i ritmi del corpo. Nel momento del travaglio, infatti, la donna sa istintivamente quale posizione assumere per alleviare il dolore e facilitare l’uscita del bambino. È importante quindi che sia lasciata libera di mettersi come le viene naturale, evitando qualsiasi pressione e indicazione da parte del personale sanitario (salvo necessità legate alla salute e alla sicurezza della mamma e del neonato). Si è visto che la posizione a carponi, che provoca la distensione del perineo, tende a ridurre a zero il ricorso al taglio. Aiuta molto anche poter effettuare il parto in acqua: i muscoli si rilassano e il passaggio del bambino è più facile.
Inoltre, ci sono dei tempi, variabili da donna a donna, da rispettare, ma con una sequenza tipica: raggiungimento della dilazione completa, un tempo definito passivo, che dura in media un’ora, in cui la donna non sente la necessità di spingere, ma che serve al feto per incanalarsi nel modo corretto, e infine il tempo attivo, in cui la donna spinge per favorire l’espulsione. Proprio l’attesa durante il tempo passivo ha un ruolo fondamentale, perché permette di accelerare e rendere meno faticosa l’ultima fase.
Qualche consiglio
Per gestire in modo consapevole e secondo i propri desideri un momento intimo e personale come è il parto, può essere utile seguire qualche consiglio: informarsi presso il ginecologo sulle modalità del parto e quindi anche sulla reale necessità dell’episiotomia e visitare per tempo la struttura scelta per la nascita e parlare con ostetriche e medici per capire qual è la pratica comune e come si procede di solito nei confronti di questo intervento (magari informandosi sulla percentuale di utilizzo dell’episiotomia). Più l’ospedale ha una politica che privilegia il parto naturale e meno si corre il rischio di vedersi praticare il taglio se non nei casi davvero necessari. Inoltre è bene cercare di seguire tutte le fasi del parto esprimendo chiaramente la propria opinione (facendosi sostenere anche dal partner o dai familiari), perché essere informate e soprattutto avere il controllo di quello che avviene nel e sul vostro corpo è un diritto inalienabile. Infine si può preparare un piano del parto: si tratta di un documento che in Italia non è ancora molto diffuso, ma che la futura mamma può scrivere e consegnare alla struttura scelta in modo che sia allegato alla cartella clinica. Qui potrà indicare che non desidera essere sottoposta all’episiotomia di routine.
Prevenire è meglio che tagliare
Per aumentare l’elasticità dei tessuti coinvolti nel parto e quindi ridurre il ricorso all’episiotomia, si può agire già nei mesi che precedono la nascita con qualche esercizio. Lo yoga, per esempio, permette di aumentare la consapevolezza del proprio corpo e lavora molto sulla zona del bacino. Esistono corsi dedicati alle partorienti, per imparare la respirazione giusta, rilassare i muscoli e averne maggiore controllo.
Utile anche l’esercizio per il pavimento pelvico che mima l’interruzione del flusso di urina. Contraendo i muscoli dell’area, essi si tonificano e si acquisisce una precisa consapevolezza di dove sono e di come funzionano.
Da sole o con il partner si possono praticare i massaggi perineali, con l’aiuto di qualche sostanza lubrificante come l’olio di mandorle, nella zona tra vagina e ano. Questo trattamento, da effettuarsi per una decina di minuti una volta al giorno, tutti i giorni nell’ultimo mese di gravidanza, contribuisce a dare maggiore elasticità ai tessuti.
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