Pratica di meditazione di origine orientale (che deriva in particolare dagli insegnamenti buddisti), ma anche modello cui ispirarsi per lo sviluppo di una nuova forma mentis, la mindfulness si basa su un principio semplice quanto potente: la consapevolezza del momento presente, senza giudizio, ma solo con una [ritrovata attenzione all’hic et nunc, è la chiave per una vita più serena, con meno ansie e stress e maggiore pienezza.
Vivere rivangando il passato o con la paura del futuro ha un effetto deleterio sulla salute mentale, perché è il presente il tempo in cui viviamo, e presenti sono i nostri pensieri, sensazioni ed emozioni – questo il presupposto.
Tra scienza e psicoterapia
La mindfulness è una pratica ormai riconosciuta, che si può effettuare da soli o in gruppi, che sono sempre più numerosi. Il suo successo si spiega con il fatto che mira a lenire le sofferenze, i disagi e i disturbi (con relative manifestazioni fisiche) dovuti al ritmo frenetico della vita, alle pressioni sociali, ma anche subite in ambito professionale e familiare, alle preoccupazioni e alle ansie che accompagnano ogni giorno: insomma, una “medicina” dell’anima per guarire dal grande male del nostro tempo, lo stress.
Ma funziona?
L’efficacia di questa pratica è stata analizzata in centinaia di studi, in cui sono stati messi in luce i suoi effetti nella terapia del dolore o nella lotta alla depressione. È stata anche inserita nei protocolli della terapia cognitivo-comportamentale, come riconoscimento del suo influsso sui procedimenti del lavoro psicoterapeutico.
Alcune ricerche si sono concentrate sugli effetti della pratica costante della mindfulness sull’anatomia del cervello ed è stato dimostrato come ci siano state delle modifiche morfologiche di alcune aree a scapito di altre. Per esempio, si è assistito a un ispessimento della materia grigia dell’ippocampo, che presiede alle attività di memorizzazione e apprendimento, e della guaina mielinica che riveste i neurotrasmettitori soprattutto nell’area della corteccia cingolata anteriore, coinvolta nella sfera dell’autocontrollo, mentre si è ridotta l’amigdala, che appartiene alla parte più primitiva del nostro cervello, legata alle emozioni come la paura. In generale pare che la mindfulness sia in grado di rimodulare il nostro meccanismo emozionale, ampliando la capacità di memoria, la consapevolezza e la risposta allo stress.
Come si pratica
Le basi della mindfulness risiedono nell’insegnamento buddista, che invita a essere attenti al presente e consapevoli di sé. Questi concetti sono diventati oggi i fondamenti di sia di terapie psicologiche sia di una nuova pratica di meditazione. Negli Stati Uniti sono stati infatti creati dei precisi protocolli, dopo la sua introduzione negli anni Settanta a opera di Jon Kabat-Zinn, studioso di medicina alla Medical School dell’università del Massachusetts, per combattere lo stress. Da lì il raggio di azione si è ampliato nella prevenzione della depressione, contro i disturbi da ansia o dell’umore e per curare gli attacchi di panico, i problemi relativi all’autostima e alcune patologie come il disturbo della personalità borderline.
In Italia non esistono ancora terapie istituzionalizzate, ma la mindfulness viene utilizzata in molti ambiti, incluse le psicopatologie legate all’alimentazione o ai disturbi ossessivo-compulsivi.
Al di là della sua applicazione in ambito clinico, questa pratica ha ottenuto attenzione e seguito, sia per curare disagi psicologici comuni (come lo stress), sia per prepararsi ad affrontare momenti importanti della propria vita (è una pratica diffusa soprattutto oltreoceano da atleti, business men e imprenditori).
I fondamenti della mindfulness si possono apprendere attraverso corsi specifici, tenuti da un insegnante, in cui si impara a focalizzare l'attenzione sul proprio corpo, le sue sensazioni e infine sulle emozioni. Una delle basi è il metodo del body scan, che permette di ascoltare e sentire tutte le parti del corpo, concentrandosi via via su ciascuna di esse, sulle sensazioni che ne derivano (come il solido terreno sotto i piedi o la morbidezza del tappetino su cui si è seduti o sdraiati) e sul respiro. L’ultimo step prevede di spostare l’attenzione sui propri pensieri e sulle proprie emozioni, lasciando scorrere gli uni e le altre, senza fermarli o giudicarli, ma accogliendoli senza lasciarsi coinvolgere. Il processo, che deve continuare con costanza per indurre un vero cambiamento, ha l’obiettivo di farci accettare quello che siamo al di là dei pregiudizi e dei preconcetti che abbiamo su noi stessi, eliminando automatismi e reazioni immediate (ma spesso deleterie) di fronte alle varie situazioni che la vita ci mette di fronte, favorendo una mente più lucida e risposte più meditate e più in linea con i nostri valori e le nostre convinzioni profonde.
Una pratica quotidiana
Solo la costanza, si diceva, porta risultati: anche solo una decina di minuti al giorno permette di ridurre lo stress e l’ansia, per ritrovare una serenità più profonda che, una volta diventata duratura, può aiutare ad affrontare meglio le piccole e grandi sfide e i contrattempi della vita quotidiana. Si apprendono infatti alcune capacità che diventano parte del panorama mentale: essere presenti a se stessi e al momento in cui si sta vivendo, senza disperdere energie nel passato o nel futuro con il loro carico di emozioni negative, dal senso di colpa alle previsioni catastrofiche; osservare se stessi e gli altri con atteggiamento non giudicante, limitando la tendenza alla critica; avere una percezione piena dei propri pensieri e delle proprie emozioni senza negarli o considerarli inadeguati o colpevoli.
Naturalmente la mindfulness non è la soluzione per tutti i mali o una bacchetta magica in grado di far sparire ogni disturbo o compulsione. In particolare, quando si ha a che fare con patologie e disturbi della sfera psicologica, molti ritengono che debba essere accompagnata dal percorso tradizionale della psicoterapia, rispetto a cui rappresenta un valido supporto ma che non può sostituire in toto.
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