La pillola abortiva

Dopo tanti anni di polemiche, dal 2009 è consentita anche in Italia l'interruzione volontaria di gravidanza mediante assunzione della cosiddetta pillola abortiva, il cui nome commerciale è RU486. Questo farmaco, il mifepristone, ideato da un medico francese negli anni Ottanta, permette di abortire evitando, o riducendo al minimo, l'intervento chirurgico. Si può utilizzare senza particolari timori di complicanze ed effetti collaterali ed è consigliato soprattutto nelle interruzioni precoci (entro le prime settimane dal concepimento).
Cos'è e come si assume
Indicativamente l'aborto farmacologico si pratica entro la settima settimana di gravidanza. Si procede con l'assunzione del mifepristone (da 1 a 3 compresse) e due giorni dopo si prende un altro farmaco a base di prostaglandine, per indurre l'espulsione dell'embrione e del sacco che lo contiene (non è detto sia necessario, perché tale azione potrebbe avvenire anche spontaneamente dopo la prima somministrazione). Se l'effetto non è completo, potrebbe essere prevista una seconda dose di prostaglandine, oppure è richiesta l'isterosuzione con svuotamento dell'utero come nell'aborto chirurgico.
L'azione del mifepristone, che è uno steroide di sintesi, è quella inibire lo sviluppo embrionale e di favorirne il distacco dalla parete uterina, che si verifica tramite contrazioni e sanguinamento, più o meno intenso. Prima di procedere all'aborto viene effettuata un'ecografia per certificare lo stato di gravidanza, mentre l'assunzione del farmaco impone il ricovero ospedaliero, che si deve protrarre fino alla conferma di avvenuto aborto. Se ufficialmente tale obbligo si giustifica con la volontà di seguire tutto l'iter clinico monitorando eventuali effetti collaterali, il fatto che sia previsto solo in Italia (nel resto d'Europa, infatti, la donna effettua l'assunzione in regime di day hospital) ha suscitato molte critiche: la necessità di rimanere di ospedale senza alcuna necessità di carattere medico non sarebbe altro che un tentativo di ostacolare ulteriormente la pratica dell'aborto per le donne. Il ricovero ha una durata variabile, in quanto dipende dai tempi di espulsione dell'embrione che non sono uguali per tutte le donne, ma può arrivare anche a 3 giorni.
Vantaggi e rischi
Il primo evidente vantaggio dell'aborto farmacologico è la possibilità di evitare un intervento chirurgico. Per quanto ormai routinario, aumenta il rischio di eventi avversi (sia per l'anestesia che viene praticata prima dello svuotamento dell'utero sia per l'operazione che potrebbe comportare emorragie o infezioni), come avviene per qualsiasi operazione. Un altro beneficio, di carattere psicologico più che fisico, è il fatto di essere poco invasivo. Se per i fautori della RU486 questo aspetto è molto positivo e si accompagna a una maggiore autonomia della donna, che non viene sottoposta a un intervento ma assume un farmaco di propria libera scelta, per i suoi detrattori è invece un modo per banalizzare l'aborto: renderlo più facile, sostengono, riduce il senso di responsabilità e la giusta dose di riflessione che dovrebbe precedere un atto di questa gravità.
Dal punto di vista dei rischi essi sono decisamente inferiori rispetto a quelli dell'aborto chirurgico, ma non inesistenti. Sono legati soprattutto all'assunzione del secondo farmaco, quello a base di prostaglandine, che provoca dolore in fase di espulsione, anche intenso (ma che si riduce abbastanza velocemente dopo che questa è avvenuta), sanguinamento (che può durare anche per qualche giorno e va monitorato se intenso o troppo prolungato), nausea, vomito e diarrea. Molto di rado si verificano gravi complicanze, legate principalmente al sanguinamento contro cui si deve intervenire chirurgicamente (meno dell'1% dei casi).
Si stima che dalla sua introduzione ci siano stati meno di 30 casi di morte dovute all'assunzione della RU486 in tutto il mondo: un percentuale bassissima di fronte alle decine di milioni di assunzioni effettuate (negli Stati Uniti, che hanno riportato 14 morti su oltre un milione e mezzo di interventi la percentuale è inferiore allo 0,001%). L'esito fatale è stato di solito causato da infezioni batteriche, dovute più alle condizioni di scarsa igiene in cui era stata effettuata la somministrazione (se oggi avviene per via orale a lungo il farmaco è stato assunto per via intravaginale) che alle sostanze presenti nel farmaco. In Italia si è registrato un caso, il primo e unico al momento, di una donna morta a seguito di un aborto farmacologico a Torino, probabilmente per un arresto cardiaco causato da una reazione di intolleranza molto violenta a uno dei farmaci (le prostaglandine o un antidolorifico che le era stato somministrato per calmare i suoi dolori intensi).
Efficacia e diffusione
Con l'assunzione combinata dei due farmaci, mifepristone e prostaglandine, l'aborto farmacologico è efficace nella quasi totalità dei casi (fino al 99%). Introdotto a partire dagli anni Novanta in tutti i Paesi dell'Unione Europea, escluse Irlanda e Malta (in cui l'interruzione volontaria di gravidanza non è ammessa), si utilizza oggi in circa il 30% degli aborti. Non è consentito l'uso della RU486 solo se alcune condizioni di salute della donna lo rendono a rischio: allergia ai componenti dei farmaci somministrati, asma grave, insufficienza surrenalica cronica ed essere affette da una malattia del sangue rara come la porfiria. Inoltre non può essere effettuato in caso di gravidanza extrauterina e soprattutto dopo i 49 giorni dal concepimento (limite imposto in Italia, altrove si effettua anche fino al 63° giorno).
Cos'è e come si assume
Indicativamente l'aborto farmacologico si pratica entro la settima settimana di gravidanza. Si procede con l'assunzione del mifepristone (da 1 a 3 compresse) e due giorni dopo si prende un altro farmaco a base di prostaglandine, per indurre l'espulsione dell'embrione e del sacco che lo contiene (non è detto sia necessario, perché tale azione potrebbe avvenire anche spontaneamente dopo la prima somministrazione). Se l'effetto non è completo, potrebbe essere prevista una seconda dose di prostaglandine, oppure è richiesta l'isterosuzione con svuotamento dell'utero come nell'aborto chirurgico.
L'azione del mifepristone, che è uno steroide di sintesi, è quella inibire lo sviluppo embrionale e di favorirne il distacco dalla parete uterina, che si verifica tramite contrazioni e sanguinamento, più o meno intenso. Prima di procedere all'aborto viene effettuata un'ecografia per certificare lo stato di gravidanza, mentre l'assunzione del farmaco impone il ricovero ospedaliero, che si deve protrarre fino alla conferma di avvenuto aborto. Se ufficialmente tale obbligo si giustifica con la volontà di seguire tutto l'iter clinico monitorando eventuali effetti collaterali, il fatto che sia previsto solo in Italia (nel resto d'Europa, infatti, la donna effettua l'assunzione in regime di day hospital) ha suscitato molte critiche: la necessità di rimanere di ospedale senza alcuna necessità di carattere medico non sarebbe altro che un tentativo di ostacolare ulteriormente la pratica dell'aborto per le donne. Il ricovero ha una durata variabile, in quanto dipende dai tempi di espulsione dell'embrione che non sono uguali per tutte le donne, ma può arrivare anche a 3 giorni.
Vantaggi e rischi
Il primo evidente vantaggio dell'aborto farmacologico è la possibilità di evitare un intervento chirurgico. Per quanto ormai routinario, aumenta il rischio di eventi avversi (sia per l'anestesia che viene praticata prima dello svuotamento dell'utero sia per l'operazione che potrebbe comportare emorragie o infezioni), come avviene per qualsiasi operazione. Un altro beneficio, di carattere psicologico più che fisico, è il fatto di essere poco invasivo. Se per i fautori della RU486 questo aspetto è molto positivo e si accompagna a una maggiore autonomia della donna, che non viene sottoposta a un intervento ma assume un farmaco di propria libera scelta, per i suoi detrattori è invece un modo per banalizzare l'aborto: renderlo più facile, sostengono, riduce il senso di responsabilità e la giusta dose di riflessione che dovrebbe precedere un atto di questa gravità.
Dal punto di vista dei rischi essi sono decisamente inferiori rispetto a quelli dell'aborto chirurgico, ma non inesistenti. Sono legati soprattutto all'assunzione del secondo farmaco, quello a base di prostaglandine, che provoca dolore in fase di espulsione, anche intenso (ma che si riduce abbastanza velocemente dopo che questa è avvenuta), sanguinamento (che può durare anche per qualche giorno e va monitorato se intenso o troppo prolungato), nausea, vomito e diarrea. Molto di rado si verificano gravi complicanze, legate principalmente al sanguinamento contro cui si deve intervenire chirurgicamente (meno dell'1% dei casi).
Si stima che dalla sua introduzione ci siano stati meno di 30 casi di morte dovute all'assunzione della RU486 in tutto il mondo: un percentuale bassissima di fronte alle decine di milioni di assunzioni effettuate (negli Stati Uniti, che hanno riportato 14 morti su oltre un milione e mezzo di interventi la percentuale è inferiore allo 0,001%). L'esito fatale è stato di solito causato da infezioni batteriche, dovute più alle condizioni di scarsa igiene in cui era stata effettuata la somministrazione (se oggi avviene per via orale a lungo il farmaco è stato assunto per via intravaginale) che alle sostanze presenti nel farmaco. In Italia si è registrato un caso, il primo e unico al momento, di una donna morta a seguito di un aborto farmacologico a Torino, probabilmente per un arresto cardiaco causato da una reazione di intolleranza molto violenta a uno dei farmaci (le prostaglandine o un antidolorifico che le era stato somministrato per calmare i suoi dolori intensi).
Efficacia e diffusione
Con l'assunzione combinata dei due farmaci, mifepristone e prostaglandine, l'aborto farmacologico è efficace nella quasi totalità dei casi (fino al 99%). Introdotto a partire dagli anni Novanta in tutti i Paesi dell'Unione Europea, escluse Irlanda e Malta (in cui l'interruzione volontaria di gravidanza non è ammessa), si utilizza oggi in circa il 30% degli aborti. Non è consentito l'uso della RU486 solo se alcune condizioni di salute della donna lo rendono a rischio: allergia ai componenti dei farmaci somministrati, asma grave, insufficienza surrenalica cronica ed essere affette da una malattia del sangue rara come la porfiria. Inoltre non può essere effettuato in caso di gravidanza extrauterina e soprattutto dopo i 49 giorni dal concepimento (limite imposto in Italia, altrove si effettua anche fino al 63° giorno).
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