Aborto farmacologico

L’aborto farmacologico consiste nell’interruzione volontaria di gravidanza tramite l’assunzione di due farmaci, la RU486 (o mifepristone), che inibisce lo sviluppo del feto, e di un secondo a base di prostaglandine, che favorisce l’espulsione del materiale fetale. Rispetto all’aborto chirurgico rappresenta una metodologia meno invasiva per interrompere una gravidanza non desiderata ed è stata introdotta in Italia nel 2009.
Richiesta e assunzione
Di fronte a una gravidanza non voluta, bisogna rivolgersi a un consultorio familiare, oppure al proprio medico di fiducia. Dopo aver accertato lo stato di gravidanza e aver ascoltato la richiesta della donna, il medico deve per legge sospendere la pratica per 7 giorni, una pausa di riflessione che dovrà confermare o smentire la prima volontà espressa. Se questa rimane ferma, si ottiene un certificato, con cui un rivolgersi a un ospedale pubblico o a una clinica privata ma autorizzata. Qui, sempre per legge, alla donna vanno offerte le due alternative: l’aborto farmacologico (entro 49 giorni dal concepimento, oltre questo limite non è consentito) o quello chirurgico (fino al 90° giorno). È comunque bene fare prima una ricerca su quali siano le strutture che praticano l’IVG tramite Ru486 per rivolgersi con certezza e senza perdere ulteriore tempo a chi effettua questa metodologia di aborto.
Una volta scelta la struttura e preso l’appuntamento, la legge italiana prescrive che la donna sia ricoverata per 3 giorni: in questo periodo assumerà prima la pillola abortiva vera e propria, che blocca lo sviluppo della gestazione, e dopo due giorni l’altro farmaco a base di prostagliandine, che induce l’espulsione di tutto il materiale fetale, normalmente nell’arco di 6-12 ore. Se l’interruzione si conclude con successo, si può tornare a casa. Qui si potrebbe risentire di qualche sintomo passeggero e soprattutto avere delle perdite di sangue, assimilabili a quelle delle mestruazioni, per una decina di giorni circa. Dopo 10-15 giorni si effettua una visita di controllo in ospedale, per verificare tramite ecografia che l’utero si sia interamente svuotato.
La percentuale di successo dell’aborto farmacologico è del 95-99%, paragonabile a quella dell’aborto chirurgico. Rispetto a questo presenta minori rischi ed è molto meno invasivo, ma richiede più tempo (l’intervento chirurgico vero e proprio infatti dura una ventina di minuti).
Il ricovero ospedaliero, obbligatorio in Italia, in realtà non è richiesto da tutte le regioni, per cui esistono anche strutture che mandano la donna a casa dopo qualche ora dall’assunzione della RU486 (ma si torna in ospedale per il secondo farmaco). Inoltre si può decidere di firmare per essere dimesse, sotto la propria responsabilità, se non si può o non si vuole essere ricoverate per tutti e tre i giorni. Soprattutto in questo caso è necessario non rimanere da sole: anche se gli effetti collaterali dell’IVG farmacologica sono ridotti, non bisogna pensare siano inesistenti e, in caso di sanguinamento o dolori intensi e prolungati, è bene avere l'aiuto di qualcuno per rivolgersi al medico ed eventualmente andare in ospedale.
Ci sono rischi?
Rispetto all’aborto tramite isterosuzione e raschiamento, quello farmacologico presenta minori rischi, sia perché meno invasivo (riducendo quindi il pericolo di infezioni o altre complicanze causate dall’introduzione degli strumenti operatori nell’apparato genitale), sia perché non prevede l’utilizzo dell’anestesia, locale o generale, come l’intervento chirurgico.
Ovviamente nessun farmaco è completamente esente da rischi. Innanzitutto ci possono essere reazioni allergiche ai principi attivi o agli eccipienti della RU486 o delle prostaglandine. In secondo luogo, una delle principali fonti di rischio, per quanto molto rara, è il sanguinamento che accompagna l’espulsione del materiale fetale. Esso dura in media una decina di giorni, accompagnato da dolori simili a quelli mestruali (più o meno intensi), nausea e diarrea. A volte si manifestano sintomi come la tachicardia, solitamente transitoria. Le perdite di sangue, invece, se prolungate o molto abbondanti, possono diventare pericolose: occorre rivolgersi all’ospedale che valuterà se sia necessario un intervento per bloccare il sanguinamento. Un altro rischio è che l’IVG non funzioni, lasciando residui dei tessuti embrionali nell’utero, o risulti del tutto inefficace, richiedendo in entrambi i casi di intervenire chirurgicamente.
Richiesta e assunzione
Di fronte a una gravidanza non voluta, bisogna rivolgersi a un consultorio familiare, oppure al proprio medico di fiducia. Dopo aver accertato lo stato di gravidanza e aver ascoltato la richiesta della donna, il medico deve per legge sospendere la pratica per 7 giorni, una pausa di riflessione che dovrà confermare o smentire la prima volontà espressa. Se questa rimane ferma, si ottiene un certificato, con cui un rivolgersi a un ospedale pubblico o a una clinica privata ma autorizzata. Qui, sempre per legge, alla donna vanno offerte le due alternative: l’aborto farmacologico (entro 49 giorni dal concepimento, oltre questo limite non è consentito) o quello chirurgico (fino al 90° giorno). È comunque bene fare prima una ricerca su quali siano le strutture che praticano l’IVG tramite Ru486 per rivolgersi con certezza e senza perdere ulteriore tempo a chi effettua questa metodologia di aborto.
Una volta scelta la struttura e preso l’appuntamento, la legge italiana prescrive che la donna sia ricoverata per 3 giorni: in questo periodo assumerà prima la pillola abortiva vera e propria, che blocca lo sviluppo della gestazione, e dopo due giorni l’altro farmaco a base di prostagliandine, che induce l’espulsione di tutto il materiale fetale, normalmente nell’arco di 6-12 ore. Se l’interruzione si conclude con successo, si può tornare a casa. Qui si potrebbe risentire di qualche sintomo passeggero e soprattutto avere delle perdite di sangue, assimilabili a quelle delle mestruazioni, per una decina di giorni circa. Dopo 10-15 giorni si effettua una visita di controllo in ospedale, per verificare tramite ecografia che l’utero si sia interamente svuotato.
La percentuale di successo dell’aborto farmacologico è del 95-99%, paragonabile a quella dell’aborto chirurgico. Rispetto a questo presenta minori rischi ed è molto meno invasivo, ma richiede più tempo (l’intervento chirurgico vero e proprio infatti dura una ventina di minuti).
Il ricovero ospedaliero, obbligatorio in Italia, in realtà non è richiesto da tutte le regioni, per cui esistono anche strutture che mandano la donna a casa dopo qualche ora dall’assunzione della RU486 (ma si torna in ospedale per il secondo farmaco). Inoltre si può decidere di firmare per essere dimesse, sotto la propria responsabilità, se non si può o non si vuole essere ricoverate per tutti e tre i giorni. Soprattutto in questo caso è necessario non rimanere da sole: anche se gli effetti collaterali dell’IVG farmacologica sono ridotti, non bisogna pensare siano inesistenti e, in caso di sanguinamento o dolori intensi e prolungati, è bene avere l'aiuto di qualcuno per rivolgersi al medico ed eventualmente andare in ospedale.
Ci sono rischi?
Rispetto all’aborto tramite isterosuzione e raschiamento, quello farmacologico presenta minori rischi, sia perché meno invasivo (riducendo quindi il pericolo di infezioni o altre complicanze causate dall’introduzione degli strumenti operatori nell’apparato genitale), sia perché non prevede l’utilizzo dell’anestesia, locale o generale, come l’intervento chirurgico.
Ovviamente nessun farmaco è completamente esente da rischi. Innanzitutto ci possono essere reazioni allergiche ai principi attivi o agli eccipienti della RU486 o delle prostaglandine. In secondo luogo, una delle principali fonti di rischio, per quanto molto rara, è il sanguinamento che accompagna l’espulsione del materiale fetale. Esso dura in media una decina di giorni, accompagnato da dolori simili a quelli mestruali (più o meno intensi), nausea e diarrea. A volte si manifestano sintomi come la tachicardia, solitamente transitoria. Le perdite di sangue, invece, se prolungate o molto abbondanti, possono diventare pericolose: occorre rivolgersi all’ospedale che valuterà se sia necessario un intervento per bloccare il sanguinamento. Un altro rischio è che l’IVG non funzioni, lasciando residui dei tessuti embrionali nell’utero, o risulti del tutto inefficace, richiedendo in entrambi i casi di intervenire chirurgicamente.
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