Morbo di Parkinson

Il morbo di Parkinson rappresenta una condizione neurologica definita come disfunzione del sistema motorio. Gli storici hanno trovato tracce della malattia già nel 5000 a.C.
Fu inizialmente descritta come una ‘paralisi tremante’ nel 1817, dal dottore inglese James Parkinson, da cui poi la malattia prese il nome. In un cervello sano, alcuni neuroni producono la dopamina, un neurotrasmettitore che trasmette i segnali all’interno del cervello per produrre i movimenti sciolti dei muscoli.
Nei pazienti affetti d Parkinson, l’80%, o anche più, dei neuroni addetti alla produzione di dopamina è danneggiato, morto o degenerato. In questo modo, i movimenti del corpo non sono più controllabili.
Le cause del morbo di Parkinson
Nonostante la causa primaria del Parkinson sia ancora da definire, un certo numero di fattori di rischio sono chiaramente evidenti. Vediamoli:
• L’età avanzata comporta rischi maggiori; lo sviluppo della malattia in età giovane è possibile ma rarissimo, mentre col progredire degli anni diventa più probabile una degenerazione cellulare.
• Il sesso è anche importante: gli uomini contraggono la malattia in numero maggiore rispetto alle donne coetanee. Questo può essere dovuto al fatto che gli estrogeni, come teorizzato, abbiano un effetto protettivo sui neuroni.
• La storia famigliare, collegata alla trasmissione genetica, prevede un incremento di possibilità di contrarre la malattia se in famiglia si sono presentati dei casi di Parkinson.
• Il lavoro nei campi è un altro fattore di rischio: l’esposizione a un ambiente ricco di tossine come pesticidi ed erbicidi, infatti, aumenta notevolmente le probabilità. Alcune tossine inibiscono la produzione di dopamina.
• I fattori genetici sono stati presi in maggiore considerazione dopo lo studio che ha rivelato come la mutazione del gene alfa-nucleina giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo del Parkinson.
• I traumi alla testa sembrano incidere in maniera importante nello sviluppo della malattia, come rivelato da uno studio del 2007 su 60 pazienti affetti da Parkinson.
• Infine, anche un basso livello di vitamina B predispone maggiormente allo sviluppo del Parkinson.
Sintomi del morbo di Parkinson
I sintomi tipici del morbo di Parkinson sono quattro e possono manifestarsi insieme o singolarmente:
- Il tremore delle mani, delle braccia, delle gambe, della mandibola e della faccia
- La rigidità o poco flessibilità degli arti
- Bradicinesia o lentezza dei movimenti
- Instabilità posturale o difficoltà nella coordinazione e nell’equilibrio.
Come per altre malattie, la comparsa di questi sintomi non significa con certezza che l’individuo sia affetto da morbo di Parkinson. Questa sintomatologia, infatti, è riscontrabile anche in altre malattie. D’altra parte, però, spesso i sintomi sono trascurati, essendo considerati tipici della vecchiaia.
Le cure
Nonostante non esista una cura per il morbo di Parkinson, esistono diverse soluzioni che possono garantire al paziente una migliore qualità della vita. Tra di esse ci sono le medicine e il trattamento chirurgico. Altre opzioni riguardano le terapie per il fisico e il linguaggio.
Una delle prime opzioni suggerite dai dottori è quella del ricorso ai farmaci; ce ne sono diversi disponibili e tutti agiscono in maniera diversa:
- Quello più comunemente prescritto è il Levodopa, che viene convertito in dopamina nel cervello.
- Il Segeline è un inibitore MAO-B, un enzima che degrada la dopamina. Inibendo questo enzima, la dopamina ha un effetto maggiore e più duraturo sul cervello.
- Gli anticoligernici bloccano gli impulsi nervosi che controllano i movimenti dei muscoli e bloccano anche l’aceticolina, un neurotrasmettitore che aiuta a regolare i movimenti muscolari. Questi farmaci funzionano meglio con pazienti oltre i 70 anni, i cui sintomi principali sono rappresentati dal tremore e dalla perdita di bava incontrollati.
Quella medica è la soluzione più adottata, anche se in taluni casi, quando gli effetti collaterali dei farmaci non sono sopportabili dai pazienti, l’alternativa chirurgica può essere ponderata. In questo caso si presentano un paio di opzioni:
- La pallidotomia consiste nel provocare una lesione nel globus pallidus, distruggendo così alcune delle cellule del cervello responsabili del controllo dei movimenti. È stato dimostrato che questa tecnica riduce le contrazioni muscolari involontarie di circa il 70 – 90%.
- La DBS (Deep Brain Stimulation, o stimolazione profonda del cervello) comporta invece l’impianto di un piccolo elettrodo di metallo nel cervello che viene poi collegato ad un generatore di impulsi inserito sottopelle all’altezza del petto. Questo metodo non è curativo ma permette di ridurre al minimo gli effetti collaterali che potrebbero causare i farmaci.
Fu inizialmente descritta come una ‘paralisi tremante’ nel 1817, dal dottore inglese James Parkinson, da cui poi la malattia prese il nome. In un cervello sano, alcuni neuroni producono la dopamina, un neurotrasmettitore che trasmette i segnali all’interno del cervello per produrre i movimenti sciolti dei muscoli.
Nei pazienti affetti d Parkinson, l’80%, o anche più, dei neuroni addetti alla produzione di dopamina è danneggiato, morto o degenerato. In questo modo, i movimenti del corpo non sono più controllabili.
Le cause del morbo di Parkinson
Nonostante la causa primaria del Parkinson sia ancora da definire, un certo numero di fattori di rischio sono chiaramente evidenti. Vediamoli:
• L’età avanzata comporta rischi maggiori; lo sviluppo della malattia in età giovane è possibile ma rarissimo, mentre col progredire degli anni diventa più probabile una degenerazione cellulare.
• Il sesso è anche importante: gli uomini contraggono la malattia in numero maggiore rispetto alle donne coetanee. Questo può essere dovuto al fatto che gli estrogeni, come teorizzato, abbiano un effetto protettivo sui neuroni.
• La storia famigliare, collegata alla trasmissione genetica, prevede un incremento di possibilità di contrarre la malattia se in famiglia si sono presentati dei casi di Parkinson.
• Il lavoro nei campi è un altro fattore di rischio: l’esposizione a un ambiente ricco di tossine come pesticidi ed erbicidi, infatti, aumenta notevolmente le probabilità. Alcune tossine inibiscono la produzione di dopamina.
• I fattori genetici sono stati presi in maggiore considerazione dopo lo studio che ha rivelato come la mutazione del gene alfa-nucleina giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo del Parkinson.
• I traumi alla testa sembrano incidere in maniera importante nello sviluppo della malattia, come rivelato da uno studio del 2007 su 60 pazienti affetti da Parkinson.
• Infine, anche un basso livello di vitamina B predispone maggiormente allo sviluppo del Parkinson.
Sintomi del morbo di Parkinson
I sintomi tipici del morbo di Parkinson sono quattro e possono manifestarsi insieme o singolarmente:
- Il tremore delle mani, delle braccia, delle gambe, della mandibola e della faccia
- La rigidità o poco flessibilità degli arti
- Bradicinesia o lentezza dei movimenti
- Instabilità posturale o difficoltà nella coordinazione e nell’equilibrio.
Come per altre malattie, la comparsa di questi sintomi non significa con certezza che l’individuo sia affetto da morbo di Parkinson. Questa sintomatologia, infatti, è riscontrabile anche in altre malattie. D’altra parte, però, spesso i sintomi sono trascurati, essendo considerati tipici della vecchiaia.
Le cure
Nonostante non esista una cura per il morbo di Parkinson, esistono diverse soluzioni che possono garantire al paziente una migliore qualità della vita. Tra di esse ci sono le medicine e il trattamento chirurgico. Altre opzioni riguardano le terapie per il fisico e il linguaggio.
Una delle prime opzioni suggerite dai dottori è quella del ricorso ai farmaci; ce ne sono diversi disponibili e tutti agiscono in maniera diversa:
- Quello più comunemente prescritto è il Levodopa, che viene convertito in dopamina nel cervello.
- Il Segeline è un inibitore MAO-B, un enzima che degrada la dopamina. Inibendo questo enzima, la dopamina ha un effetto maggiore e più duraturo sul cervello.
- Gli anticoligernici bloccano gli impulsi nervosi che controllano i movimenti dei muscoli e bloccano anche l’aceticolina, un neurotrasmettitore che aiuta a regolare i movimenti muscolari. Questi farmaci funzionano meglio con pazienti oltre i 70 anni, i cui sintomi principali sono rappresentati dal tremore e dalla perdita di bava incontrollati.
Quella medica è la soluzione più adottata, anche se in taluni casi, quando gli effetti collaterali dei farmaci non sono sopportabili dai pazienti, l’alternativa chirurgica può essere ponderata. In questo caso si presentano un paio di opzioni:
- La pallidotomia consiste nel provocare una lesione nel globus pallidus, distruggendo così alcune delle cellule del cervello responsabili del controllo dei movimenti. È stato dimostrato che questa tecnica riduce le contrazioni muscolari involontarie di circa il 70 – 90%.
- La DBS (Deep Brain Stimulation, o stimolazione profonda del cervello) comporta invece l’impianto di un piccolo elettrodo di metallo nel cervello che viene poi collegato ad un generatore di impulsi inserito sottopelle all’altezza del petto. Questo metodo non è curativo ma permette di ridurre al minimo gli effetti collaterali che potrebbero causare i farmaci.
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