La paghetta: sì o no, come e quando
La paghetta rappresenta la quota settimanale o mensile (o comunque a scadenza periodica) che alcuni genitori devolvono ai figli per iniziarli alle tristi consuetudini economiche del risparmio e della gestione dei beni materiali. Non fraintendetemi, il termine “triste” va contestualizzato nella spensierata mente puerile che andrebbe forse lasciata libera da tali pensieri il più a lungo possibile (visto che negli anni a venire ne avrà di tempo per preoccuparsi dell’amministrazione dei soldi). Eppure arriva un momento in cui i bambini o gli adolescenti sentano il bisogno di soddisfare le proprie spese in maniera individuale. E così spesso i genitori decidono di concedere la famigerata paghetta: ma si tratta davvero di una soluzione educativa?
Molti esperti, basandosi su dati empirici, sostengono che, chi inizia in età precoce a gestire autonomamente i propri soldi, risulta meno incline all’indebitamento da adulto; questo sarebbe un ottimo motivo per appoggiare la scelta di somministrare la paghetta ai propri figli.
C’è anche chi afferma che provvedere ai propri acquisti permette di ottenere una consapevolezza dei prezzi che spesso i bambini non hanno: mio nipote a cinque anni era convinto che cinque euro fossero tanti, ma crescendo ha sviluppato delle capacità matematiche notevoli e capisce il valore dei soldi.
Se quello che si vuole è rendere i propri figli indipendenti, più che dar loro un salario, bisognerebbe farli crescere senza la propria ombra addosso, come invece fanno in molti.
La paghetta può avere un valore educativo solo quando rappresenta realmente un limite da rispettare: se un bambino riceve 30 euro a settimana e li finisce dopo quattro giorni, non dovrebbe avere a disposizione nessun eventuale bonus, in modo da imparare ad amministrare meglio il denaro in situazioni future. Ma quanti genitori sono disposti a non cedere al faccino d’angelo in lacrime o con il musetto perché non può andare al cinema con gli amichetti il sabato pomeriggio? Nessuno o pochi. A questo punto la paghetta non diventa altro che un bottino a disposizione per soddisfare senza sacrificio i propri vizi, salvo poi correre da mamma e papà per spese extra.
A che età cominciare a dare la paghetta?
La paghetta non dovrebbe essere data prima della prima adolescenza, ovvero tra i 12 ed i 15 anni, perché prima i bambini sono ancora troppo piccoli per essere stressati dal possesso dei soldi e soprattutto difficilmente sanno valutare le priorità a cui destinarli. La paghetta rischia di diventare un escamotage per comprare quello che i genitori non vogliono acquistare perché troppo costoso o poco educativo, ad esempio un videogioco violento. È importante che questo non accada mai e che anche i soldi spesi dalla paghetta siano controllati.
Un’alternativa alla paghetta è quella della remunerazione come ricompensa per un lavoretto svolto, ovviamente adatto all’età del bambino. Anche in questo caso però va assolutamente evitato che per il bambino il rispetto di ordini o doveri diventi un’arma di ricatto per ricevere denaro.
Possiamo concludere notando che la concessione di denaro ai propri figli, in qualsiasi forma avvenga e sebbene diventi ad un certo punto inevitabile, è un terreno delicato su cui muoversi. A prescindere dalla scelta meno di concedere la paghetta, quello che conta è riuscire a responsabilizzare i bambini e i ragazzi sul valore dei soldi e del risparmio.
Molti esperti, basandosi su dati empirici, sostengono che, chi inizia in età precoce a gestire autonomamente i propri soldi, risulta meno incline all’indebitamento da adulto; questo sarebbe un ottimo motivo per appoggiare la scelta di somministrare la paghetta ai propri figli.
C’è anche chi afferma che provvedere ai propri acquisti permette di ottenere una consapevolezza dei prezzi che spesso i bambini non hanno: mio nipote a cinque anni era convinto che cinque euro fossero tanti, ma crescendo ha sviluppato delle capacità matematiche notevoli e capisce il valore dei soldi.
Se quello che si vuole è rendere i propri figli indipendenti, più che dar loro un salario, bisognerebbe farli crescere senza la propria ombra addosso, come invece fanno in molti.
La paghetta può avere un valore educativo solo quando rappresenta realmente un limite da rispettare: se un bambino riceve 30 euro a settimana e li finisce dopo quattro giorni, non dovrebbe avere a disposizione nessun eventuale bonus, in modo da imparare ad amministrare meglio il denaro in situazioni future. Ma quanti genitori sono disposti a non cedere al faccino d’angelo in lacrime o con il musetto perché non può andare al cinema con gli amichetti il sabato pomeriggio? Nessuno o pochi. A questo punto la paghetta non diventa altro che un bottino a disposizione per soddisfare senza sacrificio i propri vizi, salvo poi correre da mamma e papà per spese extra.
A che età cominciare a dare la paghetta?
La paghetta non dovrebbe essere data prima della prima adolescenza, ovvero tra i 12 ed i 15 anni, perché prima i bambini sono ancora troppo piccoli per essere stressati dal possesso dei soldi e soprattutto difficilmente sanno valutare le priorità a cui destinarli. La paghetta rischia di diventare un escamotage per comprare quello che i genitori non vogliono acquistare perché troppo costoso o poco educativo, ad esempio un videogioco violento. È importante che questo non accada mai e che anche i soldi spesi dalla paghetta siano controllati.
Un’alternativa alla paghetta è quella della remunerazione come ricompensa per un lavoretto svolto, ovviamente adatto all’età del bambino. Anche in questo caso però va assolutamente evitato che per il bambino il rispetto di ordini o doveri diventi un’arma di ricatto per ricevere denaro.
Possiamo concludere notando che la concessione di denaro ai propri figli, in qualsiasi forma avvenga e sebbene diventi ad un certo punto inevitabile, è un terreno delicato su cui muoversi. A prescindere dalla scelta meno di concedere la paghetta, quello che conta è riuscire a responsabilizzare i bambini e i ragazzi sul valore dei soldi e del risparmio.
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