Il parto indotto

Se si necessita di indurre il parto prima del termine, le cause possono essere dovute al cattivo funzionamento della placenta che blocca la crescita del feto o a patologie come le pre-eclampsia.
In caso di induzione post termine, si procede dopo 8 o 10 giorni successivi allo scadere delle 40 settimane di gestazione. Apriamo una piccola parentesi in merito: visto che tra i nascituri oltre il termine (circa il 12%), solo l’1% di essi mostra i segni della post-maturità, si sospetta che il ritardo sia dovuto a calcoli errati riguardo il principio di una gravidanza. Per questo è essenziale verificare attentamente con il proprio ginecologo.
Ma quali sono i sintomi, i segnali che devono far propendere per un parto indotto?
Se da tre a sei giorni successivi alla 41ma settimana i controlli danno esiti negativi o se si è in presenza di sofferenza fetale con riduzione dei movimenti, vuol dire che ci sono gli estremi per procedere con il parto indotto. Altri segnali sono rappresentati da ritardo nella crescita del feto a causa di insufficienza placentare o altre complicazioni; da placenta insufficiente a garantire la crescita corretta del feto; dall’insorgere di pre-eclampsia, come detto in precedenza; da presenza di diabete materno o da abbassamento (sotto il limite) del liquido amniotico.
Quando i tempi sono maturi, si può indurre il parto. Vediamo le modalità operative.
Il ginecologo effettua in un primo momento una visita vaginale per valutare lo stato del collo uterino, osservando cioè la sua dilatazione e il suo spessore e l’altezza della testa del bambino. Anche il tipo di contrazioni rappresenta un fattore indicativo.
Concludiamo con la presentazione schematica delle quattro tecniche che si utilizzano per l’induzione:
- Allontanamento manuale delle membrane (che restano intatte) dalla cervice.
- Rottura artificiale delle membrane, quando la cervice è già in dilatazione, praticata con un attrezzo dalla forma uncinata; a dispetto dell’apparenza, si tratta di una tecnica indolore.
- Applicazione del gel di prostaglandine, cioè l’inserimento di candelette vaginali nell’utero; l’effetto prodotto è quello di dilatare il collo dell’utero.
- Flebo di ossitocina mediante introduzione di una canula nel braccio (o nella mano) della paziente; questo processo è spesso successivo all’immissione di una soluzione di glucosio nel sangue. L’effetto prodotto dall’ossitocina è la stimolazione delle contrazioni per renderle più efficaci.
In caso di induzione post termine, si procede dopo 8 o 10 giorni successivi allo scadere delle 40 settimane di gestazione. Apriamo una piccola parentesi in merito: visto che tra i nascituri oltre il termine (circa il 12%), solo l’1% di essi mostra i segni della post-maturità, si sospetta che il ritardo sia dovuto a calcoli errati riguardo il principio di una gravidanza. Per questo è essenziale verificare attentamente con il proprio ginecologo.
Ma quali sono i sintomi, i segnali che devono far propendere per un parto indotto?
Se da tre a sei giorni successivi alla 41ma settimana i controlli danno esiti negativi o se si è in presenza di sofferenza fetale con riduzione dei movimenti, vuol dire che ci sono gli estremi per procedere con il parto indotto. Altri segnali sono rappresentati da ritardo nella crescita del feto a causa di insufficienza placentare o altre complicazioni; da placenta insufficiente a garantire la crescita corretta del feto; dall’insorgere di pre-eclampsia, come detto in precedenza; da presenza di diabete materno o da abbassamento (sotto il limite) del liquido amniotico.
Quando i tempi sono maturi, si può indurre il parto. Vediamo le modalità operative.
Il ginecologo effettua in un primo momento una visita vaginale per valutare lo stato del collo uterino, osservando cioè la sua dilatazione e il suo spessore e l’altezza della testa del bambino. Anche il tipo di contrazioni rappresenta un fattore indicativo.
Concludiamo con la presentazione schematica delle quattro tecniche che si utilizzano per l’induzione:
- Allontanamento manuale delle membrane (che restano intatte) dalla cervice.
- Rottura artificiale delle membrane, quando la cervice è già in dilatazione, praticata con un attrezzo dalla forma uncinata; a dispetto dell’apparenza, si tratta di una tecnica indolore.
- Applicazione del gel di prostaglandine, cioè l’inserimento di candelette vaginali nell’utero; l’effetto prodotto è quello di dilatare il collo dell’utero.
- Flebo di ossitocina mediante introduzione di una canula nel braccio (o nella mano) della paziente; questo processo è spesso successivo all’immissione di una soluzione di glucosio nel sangue. L’effetto prodotto dall’ossitocina è la stimolazione delle contrazioni per renderle più efficaci.
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