I prodotti omeopatici: cosa sono e come funzionano

L’omeopatia è considerata una pseudoscienza, che non risponde ai requisiti di verificabilità e rigore della medicina tradizionale. L’assunto di fondo è noto ed è quello della similitudine: ogni patologia può essere curata con la stessa sostanza, ma molto diluita, che nella persona sana provoca i sintomi della malattia. La bassissima concentrazione di qualsiasi principio attivo nei prodotti omeopatici li rende – secondo la medicina ufficiale – completamente inefficaci, se non per via dell’effetto placebo (che ha però cause psicologiche e non fisiologiche). Di contro, i sostenitori dell’omeopatia sostengono di differenziarsi dalla pratica clinica tradizionale perché il malato viene considerato nella sua globalità: non solo come un insieme di sintomi da curare, ma come un individuo in cui si intrecciano fattori fisici, mentali ed emotivi. Per questa ragione, inoltre, non esiste un rimedio valido per tutti coloro che manifestano una simile patologia, ma ognuno riceve solo i prodotti personalizzati che si adattano al suo caso specifico. Insomma, la protagonista dell’omeopatia non è la malattia ma il malato, e i suoi sintomi – si sostiene – non vanno repressi con le medicine, ma guariti una volta inquadrati nel contesto complessivo della persona e una volta capita la loro origine, anche qui di carattere multifattoriale.
Bassa concentrazione, zero tossicità
I rimedi omeopatici si ottengono a partire da sostanze naturali, principi attivi che provengono da piante o minerali, fortemente diluiti. Il principio risulta quindi in quantità molto basse, dell’ordine di 1 parte su 10 o su 100 elevato a un qualche esponente. Proprio questo aspetto è il più criticato: se i sostenitori dell’omeopatia dicono che in tal modo si riduce a zero la tossicità della sostanza, che quindi non ha alcun effetto collaterale o controindicazione, i detrattori individuano in questa operazione le ragioni dell’assoluta inefficacia dei prodotti.
In realtà ogni rimedio è preparato in due fasi. La prima è la diluizione vera e propria, in cui la tintura madre si diluisce in acqua e alcool in rapporto di 1 a 100. Subito dopo si procede alla succussione, cioè a imprimere forti scosse meccaniche al liquido con l’obiettivo di dinamizzare il principio attivo, vale a dire di fargli esprimere le proprietà terapeutiche. Il processo può andare avanti secondo questa stessa procedura fino a ottenere la diluizione desiderata. Per questo motivo, tra l’altro, le confezioni dei prodotti omeopatici non riportano una lunga lista di ingredienti (il principio attivo e gli eccipienti), come i farmaci tradizionali, ma solo l’indicazione della sostanza (con il nome in latino) e la potenza applicata (per esempio, 6C o 6CH indica che sono state effettuate sei diluizioni sempre con rapporto di uno su 100, per cui alla fine il principio attivo è presente come una parte su 10¹²).
Funzionano?
I pareri sull’omeopatia sono molto discordanti. Potenze superiori a 12C (in cui la sostanza è diluita a tal punto da essere di una parte su 10²⁴), in realtà non contengono più il principio attivo di partenza: semplici calcoli chimici basati sul numero di Avogadro (che indica quante molecole sono contenute in una mole, che è un’unità di misura) dicono che il prodotto non contiene nemmeno più una molecola della sostanza stessa. Questa considerazione è uno degli argomenti più usati per sostenere che l’omeopatia non funziona: non può funzionare in totale assenza di sostanze chimiche che interagiscano con il corpo e stimolino il processo di guarigione.
Chi invece segue i dettami omeopatici, non nega la mancanza dell’azione chimica, ma ritiene piuttosto che l’effetto non sia di tipo chimico, quanto di carattere fisico. Il rimedio susciterebbe fenomeni a livello molecolare e atomico (attraverso azioni ondulatorie, di risonanza o che toccano i costituenti base degli atomi, vale a dire il mondo quantistico, che ha regole e meccanismi di funzionamento molto lontani da quelli dell’esperienza quotidiana e spesso controintuitivi), non ancora ben individuati.
Un altro meccanismo che entrerebbe in azione è la cosiddetta memoria dell’acqua per cui il liquido in cui è stato diluito il principio attivo, anche se quest’ultimo non è più presente, conserverebbe la disposizione geometrica delle molecole determinata dal contatto con lo stesso principio attivo. Tale memoria permetterebbe, anche a distanza di tempo, di mantenere le informazioni portate dalla sostanza, conservandone quindi l’efficacia. Non esistono al momento prove scientifiche dell'esistenza di questo fenomeno, che pone tra l’altro tutta una serie di problemi concettuali (per fare solo un esempio: come mai il liquido mantiene le proprietà benefiche ma non quelle tossiche del principio attivo?).
Quindi, i seguaci di questo tipo di terapie non sanno dare conto con assoluta certezza del meccanismo di funzionamento, ma ne constatano i risultati concreti. I detrattori, d’altra parte, si appellano alle tante ricerche condotte negli anni, secondo i principi del rigore della sperimentazione clinica, che non hanno mai dimostrato un efficacia, anche minima, dei prodotti omeopatici. Se questi hanno portato degli effetti positivi, di miglioramento o persino di guarigione, sarebbe invece da attribuire all’effetto placebo, potenziato dal particolare approccio che il medico omeopata ha nei confronti del paziente, vale a dire attenzione costante e visione globale della persona. Accudimento, ascolto e creazione di un rapporto di fiducia sarebbero le cause principali dei risultati positivi conseguiti dall’omeopatia.
Bassa concentrazione, zero tossicità
I rimedi omeopatici si ottengono a partire da sostanze naturali, principi attivi che provengono da piante o minerali, fortemente diluiti. Il principio risulta quindi in quantità molto basse, dell’ordine di 1 parte su 10 o su 100 elevato a un qualche esponente. Proprio questo aspetto è il più criticato: se i sostenitori dell’omeopatia dicono che in tal modo si riduce a zero la tossicità della sostanza, che quindi non ha alcun effetto collaterale o controindicazione, i detrattori individuano in questa operazione le ragioni dell’assoluta inefficacia dei prodotti.
In realtà ogni rimedio è preparato in due fasi. La prima è la diluizione vera e propria, in cui la tintura madre si diluisce in acqua e alcool in rapporto di 1 a 100. Subito dopo si procede alla succussione, cioè a imprimere forti scosse meccaniche al liquido con l’obiettivo di dinamizzare il principio attivo, vale a dire di fargli esprimere le proprietà terapeutiche. Il processo può andare avanti secondo questa stessa procedura fino a ottenere la diluizione desiderata. Per questo motivo, tra l’altro, le confezioni dei prodotti omeopatici non riportano una lunga lista di ingredienti (il principio attivo e gli eccipienti), come i farmaci tradizionali, ma solo l’indicazione della sostanza (con il nome in latino) e la potenza applicata (per esempio, 6C o 6CH indica che sono state effettuate sei diluizioni sempre con rapporto di uno su 100, per cui alla fine il principio attivo è presente come una parte su 10¹²).
Funzionano?
I pareri sull’omeopatia sono molto discordanti. Potenze superiori a 12C (in cui la sostanza è diluita a tal punto da essere di una parte su 10²⁴), in realtà non contengono più il principio attivo di partenza: semplici calcoli chimici basati sul numero di Avogadro (che indica quante molecole sono contenute in una mole, che è un’unità di misura) dicono che il prodotto non contiene nemmeno più una molecola della sostanza stessa. Questa considerazione è uno degli argomenti più usati per sostenere che l’omeopatia non funziona: non può funzionare in totale assenza di sostanze chimiche che interagiscano con il corpo e stimolino il processo di guarigione.
Chi invece segue i dettami omeopatici, non nega la mancanza dell’azione chimica, ma ritiene piuttosto che l’effetto non sia di tipo chimico, quanto di carattere fisico. Il rimedio susciterebbe fenomeni a livello molecolare e atomico (attraverso azioni ondulatorie, di risonanza o che toccano i costituenti base degli atomi, vale a dire il mondo quantistico, che ha regole e meccanismi di funzionamento molto lontani da quelli dell’esperienza quotidiana e spesso controintuitivi), non ancora ben individuati.
Un altro meccanismo che entrerebbe in azione è la cosiddetta memoria dell’acqua per cui il liquido in cui è stato diluito il principio attivo, anche se quest’ultimo non è più presente, conserverebbe la disposizione geometrica delle molecole determinata dal contatto con lo stesso principio attivo. Tale memoria permetterebbe, anche a distanza di tempo, di mantenere le informazioni portate dalla sostanza, conservandone quindi l’efficacia. Non esistono al momento prove scientifiche dell'esistenza di questo fenomeno, che pone tra l’altro tutta una serie di problemi concettuali (per fare solo un esempio: come mai il liquido mantiene le proprietà benefiche ma non quelle tossiche del principio attivo?).
Quindi, i seguaci di questo tipo di terapie non sanno dare conto con assoluta certezza del meccanismo di funzionamento, ma ne constatano i risultati concreti. I detrattori, d’altra parte, si appellano alle tante ricerche condotte negli anni, secondo i principi del rigore della sperimentazione clinica, che non hanno mai dimostrato un efficacia, anche minima, dei prodotti omeopatici. Se questi hanno portato degli effetti positivi, di miglioramento o persino di guarigione, sarebbe invece da attribuire all’effetto placebo, potenziato dal particolare approccio che il medico omeopata ha nei confronti del paziente, vale a dire attenzione costante e visione globale della persona. Accudimento, ascolto e creazione di un rapporto di fiducia sarebbero le cause principali dei risultati positivi conseguiti dall’omeopatia.
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